Home / Blog / Testimonianze/ Ridammi la mia penna
– Come ti chiami? –
– Good Luck – Buona Fortuna –
– Davvero ti chiami così? –
Non risponde Buona fortuna e mi guarda a malapena. Colgo il disprezzo nei suoi occhi bassi e un poco gonfi. Dico che ha un bel nome; dubito che sia il suo. E poi quel nome non mi piace. Ha così poco di umano. Fantastico per qualche istante sull’origine del nome. Lo hanno chiamato così perché si è salvato dal naufragio? Sono le ultime parole che gli ha detto la sua mamma?
Mi distrae la ragazza cinese. Rispondo alla sua domanda, com’ è giusto che sia. Ma il mio pensiero torna a Buona Fortuna.
Perché un nome così banale? Gli Africani sono fantasiosi con i nomi; io lo so bene che ho riempito la mia casa dei loro libri di fiabe venduti agli angoli delle strade di Padova.
Chi ti ha dato questo nome Good Luck? Il volontario che ti ha ripescato? Il maresciallo della marina? Il medico che ti ha curato per primo? Non credo! Loro ti avrebbero chiamato Fortunato visto che il tuo destino si era compiuto davanti ai loro occhi e sarebbe bastato un Lucky.
E allora? Non potevi che essere in partenza! E qualcuno deve pur averti augurato buona fortuna: non la mamma che, col viso ormai privo di lacrime, ti avrebbe detto: “fai attenzione, figlio mio”, non la nonna che, mentre ti dava i suoi ultimi risparmi, ti benediceva dicendoti “che il Signore sia con te figlio mio”. Forse tuo padre ti ha augurato Buona Fortuna, o forse il tuo migliore amico o il tuo vicino di casa mentre ti prestava i soldi per il viaggio.
E il tuo professore? Avrebbe potuto lui darti un tal nome? Proprio lui che sarebbe voluto venire con te per parlarti dei Greci e dei Romani e della musica e della pittura barocca mentre tu bevevi le sue parole e ti dissetavi portando tutto il suo dire sul tuo taccuino con la tua bellissima scrittura? No! Lui non può averti dato un tal nome. Ti avrebbe chiamato col tuo nome dicendoti “Corri, fin quando e fino a dove potrai e non dimenticare quanto è più bella la vita quando tu ne fai parte”
Ma tu non dormi G.L.: il mondo non è come te lo eri immaginato da bimbo nella serenità della tua piccola casa quando ciascuno raccontava una storia diversa, che poi era sempre la stessa. A un certo punto, qualcuno è entrato senza bussare e tu, nascosto sotto le gonne di tua madre, hai dovuto trattenere il grido che certo ti sarebbe sfuggito se non avessi sentito il torpore delle sue mani serrarti dolcemente le labbra.
Ora sei qui e ti aspetti che io sia buona con te e che io guardi la tua rabbia come la guardi tu. Ti aspetti che accetti il tuo disprezzo altezzoso. Che mi senta in colpa per chi è entrato nella tua vita e nella tua anima senza bussare fino a toglierti il nome.
Hai preso la mia penna senza permesso, con rabbia e senza bussare, aspettandoti che io fossi buona con te
come tu lo eri stato, da bimbo impaurito, sotto le gonne di tua madre.
Rendimi la mia penna e ringrazia perché tu non diventi come coloro che ti hanno tolto il nome.
No! Non sarò buona con te ragazzo che non può dire il suo nome. Tu meriti di più della mia bontà!
Maria Grazia Rassu, volontaria scuola italiano a migranti e rifugiati. – Padova 20 maggio 2017