Home / Blog / Il racconto del mese/ …Che il vento restituisca alla mia Patria il mio profumo
…Che il vento restituisca alla mia Patria il mio profumo
Sono talmente tante volte approdato alla barca del tuo amore che o raggiungerò il tuo amore o morirò annegato.
Su queste due righe si è fermato il mio sguardo aprendo a caso il libro di Alessandra Zuin e Nicole Valentini VIDES VENETO – SGUARDI SULL’AFGHANISTAN.
Questi versi sono stati trovati insieme a tante altre poesie nel taccuino di Zaher Rezai un ragazzino che ha perso la vita fuggendo dall’Afghanistan in guerra. Non si sa chi abbia scritto queste righe, se lui stesso o qualcun altro ma poco importa; ciò che più conta è che siano giunte fin qui e che un martire ci abbia permesso di godere della vera poesia: una sciabolata di luce che svela una vita e l’aspirazione più alta di colui o colei che l’ha scritta. E le autrici ce ne fanno dono con il loro bel libro.
Non ricordo più quanto tempo è passato dall’ultima volta che ho letto un articolo sull’Afghanistan; a un certo momento le cose si sono complicate a tal punto che ho dimenticato il motivo di tanta distruzione. Così, tutto quel che mi è rimasto degli accadimenti afghani sono le immagini di un paesaggio lunare popolato da donne ingabbiate in polverosi burqa azzurrini e da uomini barbuti che agitano infantilmente i loro fucili.
E, infatti, dopo l’esagerazione di scritti, immagini e dibattiti – spesso francamente approssimativi – subiti nel decennio successivo al 2001, la questione mi risultò talmente ingarbugliata che mi fu difficile ricordare non solo gli attori di tanta rovina, ma anche i confini entro i quali si svolsero i fatti.
Con la mirabile sintesi tipica di chi ha capito quel che dice e sa di cosa parla, SGUARDI SULL’AFGHANISTAN mi ha ricondotto con grande semplicità e con calcolato rigore, nei luoghi e negli accadimenti Afghani.
Ma le autrici fanno anche di più: allontanandosi dal cliché della donna col burqa e del talebano implacabile, ci introducono nella poesia afghana, indistruttibile ed inarrestabile, amata e vissuta dal popolo come parte imprescindibile del proprio essere.
La poesia che scopriamo non ha il burqa e ha potuto, perfino con l’assenso dei talebani più conservatori, varcare i confini per farsi conoscere anche dall’odiato occidente. Ciò è stato possibile, come ci dicono le autrici, perché “la tradizione poetica dell’Afghanistan è molto più antica dell’interpretazione religiosa dogmatica…”. Tanto è vero che la poesia non è prerogativa degli uomini ma, per le donne, è anche espressione di coscienza e dolore per la propria condizione (… le mie ali sono chiuse e non posso volare) e di richiesta di riscatto (“Tu hai iniziato questa schermaglia d’amore, non io. E adesso che lo scandalo è sotto gli occhi di tutti, tu mi biasimi”) della donna persona.
Ora, e se è vero che la poesia femminile, sebbene riconosciuta e apprezzata, non può, da sola, scardinare anni di vera e propria segregazione, è anche vero che per esse rappresenta una prima consapevolezza della loro condizione e che solo attraverso tale consapevolezza estesa a tutte (cominciano a formarsi dei veri e propri circoli letterari) è possibile l’imprescindibile alleanza fra le donne vittime di ogni violenza.
Questo libro è l’ingresso di una piccola miniera che suscita curiosità e voglia di approfondire i tanti argomenti trattati: dalla nascita alle attività attuali del VIDES, dall’Afghanistan alle FAQ sul tema dell’immigrazione per finire con un dizionario dei termini Afghani più usati dai nostri media.
Per questo bel dono ringrazio le autrici che mi hanno ricordato, con uno scritto asciutto ed appassionato allo stesso tempo (lo spazio per la commozione viene elegantemente lasciato alle poesie), un mondo che stavo per dimenticare.
Maria Grazia Rassu per VIDES
Gennaio 2018