Da Avvenire – Sir Agenzia di informazione – 12 Novembre 2020
Talvolta suor Alma Castagna ha nostalgia delle montagne del Lecchese, la sua terra. Forse è per questo che la foto del suo contatto WhatsApp – la piattaforma scelta per la conversazione con Avvenire – ritrae vette innevate. Da 28 anni (lei ne ha 62) vive all’altro capo del mondo, a Timor Est, la metà di un’isola lunga e stretta, 600 chilometri a nord dell’Australia, di cui ha assistito alla lotta di liberazione dall’Indonesia fino al trionfale referendum indipendentista del 1999. La laurea in Medicina suor Alma l’ha ottenuta a Milano ma messa a frutto qui, tra i malati di Tbc e i febbricitanti, tra le partorienti, tra le bambine e le ragazze che anche in questa parte di Asia hanno un destino a ostacoli. Poi sono venuti gli orfanotrofi femminili, i collegi per ospitare le studentesse che altrimenti avrebbero rinunciato agli studi, le scuole di cucito e di panetteria… Ad aprirle gli occhi e il cuore sulla sofferenza delle donne fu uno dei primi incontri. «Ero da poco a Timor, lavoravo nel nostro ambulatorio di Venilale, un villaggio in una zona montuosa al centro dell’isola. Era gennaio, il mese delle piogge, delle febbri e delle diarree. Una giovanissima madre aveva portato a far visitare il suo neonato. Il piccolo scottava, lei aveva affrontato una marcia di due ore sotto la pioggia, attraversando un fiume in piena. Mi accorsi che anche lei non stava bene, volevo visitarla, ma lei si opponeva: curi il mio bambino, ripeteva, io non ho nulla. Non era vero, la sua temperatura corporea superava i 40 gradi, ma a lei interessava solo il piccolo. Ecco, lì ho compreso la potenza delle donne, anche di quelle più umili e analfabete. La determinazione e la forza di quella piccola madre mi hanno insegnato a guardare alle donne di Timor con rispetto. Impressiona come difendono la loro dignità di madri in una società misogina. Qualcosa sta cambiando, ma in generale qui le donne contano poco».
Suor Alma è magra e svelta, vivace e coinvolgente; è la superiora provinciale delle Figlie di Maria Ausiliatrice in Indonesia, supervisiona l’opera di 100 consorelle, coordina le scuole professionali, le attività pastorali a supporto delle parrocchie, le residenze per studenti e studentesse e gli ambulatori disseminati nel vasto arcipelago. Risiede a Dili, la capitale di Timor Est, ma fa la spola tra i due orfanotrofi femminili a Venilale e a Laga, un modesto villaggio 150 chilometri più a sud, sulla sponda settentrionale dell’isola. Qui cento bambine e ragazze la chiamano “madre” e lei lo è di tutte. L’infermeria è sorta da poco, per l’esigenza di isolare chi viene colpita da una malattia infettiva, cosa che qui accade spesso. «All’orfanotrofio arrivano ragazzine abusate allontanate dalle famiglie. Di altre lo scopri molto tempo dopo… Poi ci sono le orfane, perché qui le donne muoiono di parto a causa della tradizione di partorire in casa, attorniate da nonne e zie. E poi ci sono molte bambine abbandonate a causa di problemi mentali». Suor Alma ha a cuore il destino di ciascuna di loro e sa che buona parte di esso dipende dall’istruzione. A Laga, sul mare, e a Venilale, sulle montagne, accanto agli orfanotrofi ci sono le scuole elementari, medie e professionali. «Le famiglie sono più propense rispetto al passato a far studiare le figlie. Ma se ci sono necessità di aiuto domestico, ad essere sacrificate sono le femmine; le mandano a lavorare nei campi e vengono promesse spose, anche a 13 anni». La presenza delle suore nelle aree rurali ha cambiato la percezione della donna: «Andiamo a fare animazione pastorale nei villaggi più remoti e formiamo educatrici. Questo ha dato alle ragazze più consapevolezza di sé: all’inizio parlavano nascondendo il volto, adesso sono disinvolte. C’è un cammino di assunzione della propria bellezza e responsabilità di fronte alla vita». Sono queste, le vette di suor Alma.